•   26 Nov 2025 09:32 - Il terremoto del Gran Sasso del 5 settembre 1950

    Le lancette dei sismografi del “Vincenzo Cerulli” sul colle Urania hanno smesso di tracciare sui rulli della carta millimetrata la loro silenziosa e tragica corsa irregolare iniziata ieri mattina alle prime luci dell’alba. Bisogna essere vecchi, bisogna aver assistito ai terremoti di Avezzano, a quello della notte del 28 giugno 1898 che distrusse parzialmente la città di Rieti, per riconoscere da lontano l’approssimarsi della funebre danza che si fa precedere da rombi sordi, gravi e prolungati e qualche volta da bagliori e lampi.

    Inizia con queste parole la corrispondenza di Filippo Raffaelli per il giornale Momento Sera del 6 settembre 1950. E continua così.

    I vecchi non sanno nulla delle carte dei terremoti che assomigliano stranamente a matasse di filo aggrovigliate, non sanno nulla delle linee isosismiche e dei movimenti orogenetici, ma conoscono quel fiato caldo e spesso che sembra arrivare dalle profondità della terra, quel boato che sembra il rombo di un treno sotto una galleria e quei brevi secondi che cambiano la fisionomia della terra. Allora se si trovano fuori casa, magari perché si trovano già al lavoro dei campi o perché sono partiti a raggiungere il lontano centro di attività, ringraziano quel Dio che li ha ispirati; se sono dentro case si spiaccicano contro i muri, sotto le volte, raccomandandosi, l’anima fra una fitta pioggia di calcinacci. Così è accaduto alle cinque di ieri mattina, quando la terra ha cominciato a ballare. Tre secondi dopo un’altra scarica ancora più violenta che sembrava voler strappare Teramo dalle sue antiche radici.

    A quell’ora antelucana alcune beghine pregavano sotto le navate romaniche della Cattedrale: pregavano il Santo Patrono, ognuna aveva la sua grazia da chiedere, ma non credevano che il momento di chiedere di aver salva la vita fosse così prossimo. Più tardi, quando dopo tutto quel fracasso, si ricordarono di loro, le trovarono fra le panche e gli inginocchiatori, distese riverse, svenute dallo spavento.

    Il peggio non s’era ancora visto. Crolli, lesioni, comignoli portati via come fuscelli, calcinacci e larghe falde d’intonaco che si sbrecciavano sollevando alte nuvole biancastre: Porta Romana, Porta Vezzola, il Castello, le cui pietre che avevano conosciuto la stasi dei secoli si risvegliavano all’improvviso scrollandosi da dosso un torpore antico; la caserma dei carabinieri lesionata e due carabinieri rimasti sotto il crollo di una volta che chiedevano insistentemente aiuto.

    La gente non se l’era lasciato dir due volte di abbandonare le stanze da letto rese ormai trappole di morte, nelle succinte vesti in cui si trovava, per correre in mezzo alle piazze aperte, ai giardini, alle strade larghe, dovunque ci fosse un poco di respiro e non si vedessero quelle sinistre mura che sembravano aver dimenticato all’improvviso le leggi della statica. Bisogna uscire da Teramo per capire cosa possano produrre i cosiddetti assestamenti tettonici della terra in pochi secondi.

    Un bombardamento che non conosce errori di calcolo, di valutazione, che colpisce ogni obbiettivo senza distinzione di persone, di censo; il povero con il ricco, il buono con il cattivo, l’utile e l’inutile, la stamberga e la villa.

    Bisogna uscire con le squadre dei vigili del fuoco, come ho fatto col comandante Gabriello Mancini. Insieme al quale mi sono recato nelle località più colpite della provincia, bisogna andare in mezzo alle case della Nocella, di Campli, di Villa Romita, di Miano per capire quale portata possano raggiungere quei famosi cinque, sei sette secondi. È come se un’immensa riserva di energia atomica deflagrasse all’improvviso; così dicono i geofisici che hanno potuto calcolarne approssimativamente la portata in chilogrammetri in base ai rilievi della nuova scala Cancani, più precisa di quella Mercalli, e che è basata sull’accelerazione massima che l’urto sismico imprime allo strato terrestre. 

    Siamo arrivati a Villa Romita che annottava. Dalle case disabitata non una luce, né per le strade: la violenza della scossa aveva sradicato i pali della corrente, strappando i fili. I vigili correvano da ogni parte a puntellare i muri più pericolanti, mentre la gente si affannava a trascinare in mezzo alla strada tavoli, armadi, sedie cassetti sventrati dai quali la biancheria straripava a flotti. Qualcuno aveva trovato delle candele e al baluginare di quella luce giallastra, le ombre degli accampati si allungavano smisuratamente. Le volte di molte camere avevano ceduto sotto l’immane spinta: le vecchie oleografie gettavano bagliori policromi occhieggiando attraverso impensate voragini.

    […] ci siamo diretti verso la Nocella, dalla quale giungevano le notizie più sinistre. È un vecchio paesotto, con case antiche e malferme, tirate su con criteri primitivi e muri corrosi dal tempo e dalle intemperie, che si reggono in piedi più per consuetudine che per obbedienza alle leggi della statica. Le scosse del terremoto non potevano trovare ambiente più favorevole per la loro azione distruttiva.

    La prosa suggestiva dell’inviato Filippo Raffaelli del Momento Sera racconta le prime ore dopo la scossa del 5 settembre 1950 nel Centro Italia. 

    Sono trascorsi poco più di 75 anni dal 5 settembre 1950, quando nell’Appennino centrale avvenne un forte terremoto che colpì molti centri abitati delle province di Teramo, Pescara, L’Aquila e Rieti.

    Figura 1. Articolo sul terremoto nella edizione dell’Italia Centrale del Mattino.
     
    Figura 2. Mappa dell’intensità dell’evento del 5 settembre 1950 nel Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (Rovida et al., 2022).
     

    Nonostante sia stato uno degli eventi sismici più forti avvenuti tra il Gran Sasso d’Italia e i Monti della Laga, questo terremoto è rimasto a lungo trascurato dalla letteratura scientifica. L’interesse verso di esso è riemerso solo dopo la drammatica sequenza sismica del 2016-2017, che ha colpito duramente molte delle stesse località già danneggiate nel 1950. Una delle peculiarità di quest’evento, evidenziata già dagli osservatori coevi (Di Filippo e Marcelli, 1951; Caloi 1969), e che lo rendeva diverso da quelli noti dell’area appenninica, riguarda l’estensione del campo macrosismico, molto ampia e con una direzione preferenziale circa E-O, anziché lungo l’asse appenninico (Figure 2 e 4). Le registrazioni strumentali dell’epoca, poche e di qualità limitata (la stazione più vicina era Roma ING, presso l’Università), non hanno consentito una localizzazione ipocentrale sufficientemente accurata.

    Figura 3. Traccia del terremoto del 5 settembre sul sismogramma della stazione di Roma Università, la più vicina all’epicentro.

    Anche la stima della magnitudo, calcolata sulle registrazioni, mostrava una variabilità significativa, da 5.1 (ING, 1950) a 7.1 (Caloi, 1969). Il terremoto del 5 settembre 1950 (alle ore 04.08 GMT) rappresentò il culmine di un’attività sismica abbastanza intensa avvenuta durante il biennio 1950-1951, che vide l’area del Gran Sasso – Monti della Laga sede di diversi eventi sismici.

    Figura 4. Mappa delle isosiste di Di Filippo e Marcelli (1951).

    I paesi maggiormente danneggiati dal terremoto del 5 settembre 1950 sono quelli ubicati lungo una larga fascia a cavallo della dorsale appenninica fra le province di Rieti, L’Aquila e Teramo (figure 2 e 4). Comuni e frazioni come Accumoli, Bisenti, Montereale, Isola del Gran Sasso, tra gli altri, ebbero a subire effetti fino all’VIII grado della scala MCS, in virtù di danni molto gravi alle strutture. Nei rapporti dell’epoca si descrivono lesioni gravi ai muri portanti, tetti e solai, diversi collassi parziali e totali e un diffuso danneggiamento generale alle abitazioni. Secondo lo studio di Di Filippo e Marcelli (1951), per anni unico lavoro su questo terremoto, l’entità dei danni fu dovuta principalmente alla elevata vulnerabilità degli edifici: ”… le case sono malsicure ed assolutamente inadatte a resistere ad un terremoto”. 

    Figura 5. Campotosto, con le tende della Croce Rossa Italiana per gli sfollati. Si noti il campanile del Duomo scoperchiato (gentile concessione Adriano Ruggeri).

    Le costruzioni colpite dal terremoto erano generalmente “povere”, in pietra semplice, spesso non squadrata, costruite senza l’ausilio di cordoli. La povertà abitativa era un fatto endemico di quelle zone dell’entroterra appenninico abruzzese, che uscivano anche dalle drammatiche vicissitudini belliche e da ripetuti eventi sismici come quelli del 3 ottobre 1943 o del 3 settembre 1950 (localizzati in area ascolana, ma con effetti di danno anche nel teramano, vedi al proposito Monachesi e Castelli, 1991; Tertulliani et al., 2006).

    Una caratteristica di questo evento, come già citato, fu l’estesa area di risentimento: effetti di VII grado si registrarono in quasi tutta la provincia di Teramo, e parte delle province di Pescara, L’Aquila, Rieti e Ascoli Piceno, con un danno diffuso e generalmente di entità lieve o moderata.

    Una ricostruzione dettagliata dello scenario macrosismico fu proposta solo decenni dopo grazie allo studio di Tertulliani et al. (2006), basato su moltissime fonti inedite e archivistiche. Quanto conosciuto in precedenza era dovuto ai citati lavori di Di Filippo e Marcelli (1951) e di Monachesi e Castelli (1992). Tuttavia, mentre i primi si erano maggiormente concentrati sugli aspetti strumentali e sismotettonici del sisma, trascurando in parte i dati macrosismici, i secondi, oltre 40 anni dopo, evidenziarono proprio questo limite.

    Le ricerche di Tertulliani et al. (2006) hanno mostrato come i danni riportati dagli edifici fossero spesso complicati da una sovrapposizione di eventi: le opere di risanamento e ricostruzione degli edifici dopo gli eventi del 1943 e del 3 settembre 1950, si erano prolungati per decenni, confondendosi addirittura alle richieste di risarcimento per i danni di guerra (Tertulliani et al., 2014), e persino ai danni del terremoto del 1972 delle Marche meridionali(!). Questa stratificazione di effetti sismici e le relative attività amministrative ha contribuito pertanto a rendere il terremoto del 5 settembre 1950, dal punto di vista dell’impatto sul territorio, uno dei più complessi dello scorso secolo.

    A complicare ulteriormente il quadro contribuì una replica significativa, avvenuta l’8 agosto 1951.

    La complessità degli effetti prodotti dal terremoto si riflette in parte sulla sua interpretazione sismogenetica.

    Diversamente dalla maggior parte dei terremoti appenninici, le cui distribuzioni delle intensità si orientano generalmente in direzione NW-SE (classicamente definita appenninica), il terremoto del 1950 mostra una distribuzione delle intensità (piano quotato o campo macrosismico) allungata trasversalmente alla direzione appenninica stessa (antiappenninica). Questo andamento, insieme ad una probabile origine più profonda dell’ipocentro, lo accomuna ad altri terremoti nelle cosiddette aree “esterne” (Vannoli et al., 2004) come i terremoti di San Giuliano di Puglia del 2002, del Potentino del 1990, o quello di Lanciano del 1881, per fare alcuni esempi.

    Sebbene, come osservato da Tertulliani et al. (2006), “non siano disponibili ipotesi attendibili sulla sorgente causativa” per i terremoti del 1950 e del 1951, gli stessi autori ipotizzarono la possibile attivazione di una struttura orientata trasversalmente alla catena (E-O), localizzata a profondità maggiori rispetto a quelle tipiche dei terremoti distruttivi dei settori intermontani (generalmente entro i 10-15 km). L’ampiezza dell’area di danneggiamento, paragonabile a quella prodotta da eventi di magnitudo elevata in ambito appenninico, può confermare l’ipotesi di una sorgente più profonda rispetto a questi ultimi. Secondo questa ricostruzione, la sorgente sismogenetica del terremoto del 1950 potrebbe essere rappresentata da una faglia cieca, ubicata al di sotto dell’edificio strutturale della Laga, con andamento ca. E-O, tra il lago di Campotosto e Pietracamela. Tale ipotesi è condivisa anche dai compilatori del Database delle Sorgenti Sismogenetiche dei terremoti italiani (DISS Working Group, 2025). 

    A cura di Andrea Tertulliani (INGV-Roma1)

     

    Bibliografia citata e altra documentazione utile

    Di Filippo D., Marcelli L. (1951) – Uno studio del terremoto del Gran Sasso d’Italia del 5 settembre 1950. Annali di Geofisica, IV, 2: 213-239. DISS Working Group, 2025).

    Database of Individual Seismogenic Sources (DISS), Version 3.3.1: A compilation of potential sources for earthquakes larger than M 5.5 in Italy and surrounding areas. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.13127/diss3.3.1

    Gasparini C., Iannaccone G., and Scarpa R. (1985) – Fault-plane solutions and seismicity of the Italian peninsula, Tectonophysics, 117, 59-78.

    ING (1950) – Bollettino sismico mensile dell’Istituto Nazionale di Geofisica (ING). [è consultabile online presso il sito di SISMOS in formato PDF alla pagina Web http://sismos.ingv.it/index2.php?bframe=bulletins.php]

    ING (1951) – Bollettino sismico mensile dell’Istituto Nazionale di Geofisica (ING). [è consultabile online presso il sito di SISMOS in formato PDF alla pagina Web http://sismos.ingv.it/index2.php?bframe=bulletins.php]

    ISS (1950) – International Union of Geodesy and Geophysics (Editor), International Seismological Summary (I.S.C.) for 1950. Kew Observatory, Richmond.

    ISS (1951) – International Union of Geodesy and Geophysics (Editor), International Seismological Summary (I.S.C.) for 1951. Kew Observatory, Richmond.

    Monachesi G., Castelli V. (1992) – Sismicità dell’area aquilano-teramana dall’analisi “attraverso i cataloghi”. Regione Abruzzo – GNDT, Osservatorio Geofisico Sperimentale di Macerata, rapporto riservato.

    Tertulliani A., Galadini F., Mastino F., Rossi A. e Vecchi M. (2006): Studio macrosismico del terremoto del Gran Sasso del 5 settembre 1950, Il Quaternario, 19(2), 195 – 214.

    Tertulliani A., Castelli V., Rossi A., Vecchi M. (2014): Reappraising a wartime earthquake: the October 3, 1943 event in the southern Marches (central Italy), Annals of Geophysics, 57, 6, doi: 10.4401/ag-6645  

    Vannoli P., Basili R., Valensise G. (2004) – New geomorphic evidence for anticlinal growth driven by blind-thrust faulting along the northern Marche coastal belt (central Italy). Journ. Seismology, 8, 297-313.    

     

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  •   22 Nov 2025 08:01 - “Quella domenica sera”, la nuova story map sul terremoto del 23 novembre 1980

    È una domenica sera di novembre. L’Italia più ricca si prepara ad andare a cena, quella più povera ha appena finito di mangiare. L’ago del sismografo accelera il suo ritmo, segnala oltre il diagramma per un lunghissimo minuto e mezzo. Uomini, donne, persone, famiglie, affetti, ricordi, pensieri, illusioni: tutto spazzato via.

    Inizia così il documentario “E’ una domenica sera di novembre” della regista Lina Wertmüller recentemente restaurato e disponibile alla visione sulla piattaforma RaiPlay (È una domenica sera di novembre – Video – RaiPlay).

    Quella sera del 23 novembre 1980 alle ore 19:34 la terra tremò in larga parte del sud Italia. La scossa principale fu di magnitudo M 6.9 con epicentro tra le province di Avellino, Salerno e Potenza. Colpì una vasta area dell’Appennino meridionale con effetti devastanti soprattutto in Irpinia e nelle zone adiacenti delle province di Salerno e Potenza.

    Nel 2018 INGVterremoti ha realizzato una story maps che raccontava Il tragico impatto di questo terremoto in alcuni dei suoi aspetti principali attraverso mappe interattive, narrazione, testimonianze, immagini e video.

    In occasione del quarantesimo anniversario l’INGV ha realizzato il portale TERREMOTO80 ( http://terremoto80.ingv.it/ ) in collaborazione con altri Enti e Università e ispirato da tre parole chiave: scienza, memoria, testimonianza.  Al suo interno ci sono gallerie fotografiche, interviste con personaggi che hanno vissuto il terremoto, articoli di approfondimento scientifico pubblicati sul blog-magazine INGVterremoti . 

    Nel portale TERREMOTO80  è presente anche Irpinia80 – Viaggio nella terra che resiste, il docufilm realizzato da INGV che come un lungo filo rosso attraversa i luoghi dell’Irpinia colpiti al cuore dal terremoto del 23 novembre 1980. Protagoniste di questo viaggio anche le storie di uomini e donne che hanno vissuto in prima persona questa enorme tragedia. Le lori voci raccontano di come le loro vite siano cambiate, sconvolte da questo tragico spartiacque.

    Nel 45° anniversario del 23 novembre 1980, INGVterremoti propone una nuova story maps dal titolo “Quella domenica sera” che integra alcuni dei contenuti del portale TERREMOTO80, tra cui quelli di approfondimento scientifico e di impatto socio economico, con il racconto dell’ emergenza e soprattutto con le storie di alcuni protagonisti del docufilm.

    La nuova story maps racconta, nella sua parte inziale, le prime ore di quella domenica sera dopo le 19:34, attraverso le testimonianze video delle edizioni straordinarie dei telegiornali con le prime frammentarie e confuse notizie e le prime immagini dai luoghi colpiti.

    Nei successivi 6 capitoli prosegue il racconto del terremoto del 23 novembre 1980 con contributi provenienti da diversi studi e dati sismologici, documenti storici, immagini e foto d’epoca, cartografie, video e mappe interattive:

    • Un terremoto complesso
    • Gli effetti del terremoto
    • La gestione dell’emergenza
    • L’impatto socio-economico e la ricostruzione
    • Viaggio nella terra che resiste
    • Scusi, un ricordo del terremoto dell’80

    Nel primo capitolo vengono presentati e approfonditi alcuni aspetti scientifici sulla sequenza sismica e sulla complessità del processo di rottura dei segmenti di faglia che hanno generato l’evento. Si racconta anche la difficoltà nella localizzazione dell’evento per mancanza di dati disponibili in tempo reale, dal momento che non esisteva un unico centro di raccolta e di elaborazione dati e un servizio di sorveglianza come quello che oggi l’INGV gestisce. Inoltre il terremoto del 1980 può anche essere considerato l’inizio della paleosismologia in Italia: fu infatti il primo terremoto italiano per il quale venne osservata una evidente fagliazione superficiale.

    Nel secondo capitolo vengono mostrati i devastanti effetti del terremoto, percepito in quasi tutta l’Italia peninsulare, con effetti distruttivi soprattutto in Irpinia e nelle zone adiacenti delle province di Salerno e Potenza come si evince dalla mappa interattiva della distribuzione delle intensità MCS (fonte dati DBMI15). E’ stato anche possibile geolocalizzare in una mappa le tante testimonianze fotografiche dei terribili effetti di questo terremoto.

    Le complicate fasi della gestione dell’emergenza sono al centro del terzo capitolo con il racconto delle prime ore di organizzazione dei soccorsi nella Sala del Viminale, dell’intervento dei pochi Vigili del Fuoco e successivamente dell’Esercito. Non esisteva ancora nel 1980 un vero e proprio sistema di protezione civile e per questo fu nominato Zamberletti a commissario straordinario incaricato di coordinare e gestire l’emergenza.

    Nel quarto capitolo vengono analizzati alcuni aspetti dell’impatto socio-economico di questo terremoto che ha colpito soprattutto le zone interne dell’Appennino campano-lucano, la cui economia era basata prevalentemente sull’agricoltura e sulla gestione di piccole attività. Viene inoltre affrontato il tema del rilancio dell’economia legato alla ricostruzione che si protrasse per decenni, tra discontinuità, lungaggini e speculazioni.

    Negli ultimi due capitoli la story maps si focalizza sulle testimonianze e i ricordi di uomini e donne che hanno vissuto in prima persona questa enorme tragedia e sono stati i protagonisti del docufilm “Irpinia80 – Viaggio nella Terra che resiste” . Queste storie sono state geolocalizzate all’interno di una mappa che consente un viaggio attraverso i luoghi colpiti al cuore dal terremoto del 23 novembre 1980.

    Alle testimonianze dirette è stato aggiunto un toccante video-racconto dello scrittore Maurizio De Giovanni, nato e vissuto a Napoli e testimone del terremoto del 1980.

    “Quella domenica sera: il terremoto del 23 novembre del 1980” è una story maps di INGVterremoti, disponibile al seguente link: https://arcg.is/1zDPSq1

    A cura di Maurizio Pignone, Anna Nardi (INGV-Osservatorio Nazionale Terremoti) e Andrea Coppotelli 


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  •   20 Nov 2025 16:40 - Terremoto profondo al largo delle coste campane, ML 3.6, 18 novembre 2025

    Il 18 novembre 2025 alle ore 13:35 italiane è avvenuto un terremoto di magnitudo ML 3.6 al largo della costa campana. L’evento sismico è stato localizzato a una profondità estremamente elevata, circa 450 km, ben al di sotto delle comuni profondità sismogenetiche dei terremoti italiani, che avvengono prevalentemente nella crosta superiore. 

    In questo articolo descriviamo le caratteristiche che rendono questo evento molto raro nell’area interessata. 

    Innanzitutto si tratta di un evento estremamente profondo e poco energetico, per questo i nostri sistemi automatici non sono stati in grado di localizzarlo in modo rapido e preciso. Come l’INGV fa sempre in questi casi, sono stati coinvolti anche gli analisti del Bollettino Sismico Italiano per individuare ulteriori dati, modelli e algoritmi che potessero contribuire a migliorare la localizzazione. La localizzazione pubblicata è la migliore possibile con i dati disponibili al momento. In casi come questi, fortunatamente, la grande profondità determina una forte attenuazione delle onde sismiche e quindi un minore impatto sul territorio, ma anche un errore (inteso come incertezza) sui parametri di localizzazione che può arrivare a qualche decina di chilometri a causa delle approssimazioni del modello geologico che definisce la velocità delle onde sismiche. Si precisa, inoltre, che sul sito terremoti.ingv.it l’area geografica indicata in senso lato per questo evento è quella dei Campi Flegrei, ma ma per la sua profondità questo terremoto non ha nulla a che vedere con la sismicità estremamente superficiale della caldera flegrea.

    Localizzazione dell’evento sismico del 18 novembre 2025 (magnitudo ML 3.6, prof. 450 km) avvenuto al largo della costa campana.

    Questo evento profondo, molto raro per questa area geografica, è da ricondurre a un processo geologico tipico del Tirreno meridionale per la presenza nel mantello terrestre di uno “slab” di litosfera oceanica che sta sprofondando da alcuni milioni di anni al di sotto del Mar Tirreno.

    Sismicità dal 1999 al 2024 di magnitudo maggiore o uguale a 2 (Carta della sismicità in Italia 1999-2024). Si noti la distribuzione della sismicità profonda (cerchietti blu e viola) nell’area della costa tirrenica campana.

    Questo fenomeno è accompagnato da una sismicità frequente lungo la costa calabrese e siciliana – meno frequente al largo della costa campana –, con terremoti che negli ultimi 40 anni hanno raggiunto magnitudo ML 5.8, il 28 ottobre 2016, profondità pari a 481 km e magnitudo Mw 5.8, il 26 ottobre 2016, profondità pari a 221 km. Un altro terremoto di magnitudo superiore a 5 è avvenuto il 3 novembre del 2010, ML 5.4, con una profondità pari a 506 km. L’ultimo terremoto profondo rilevante di magnitudo ML 4.2 è avvenuto la notte tra il 26 e 27 ottobre 2023 al largo della Penisola Sorrentina (provincia di Napoli). Anche questo evento sismico è stato localizzato a una profondità molto elevata, circa 450 km. Il terremoto profondo più forte di cui si ha notizia nell’area è quello del 27 dicembre 1978, magnitudo Mw 5.9, avvenuto ad una profondità di 392 km a largo di Gaeta (LT). 

    Per comprendere la struttura della litosfera ionica in subduzione sotto al Mar Tirreno, in questa sezione verticale che taglia il bacino tirrenico da nord-ovest a sud-est è riportata la sismicità dal 1985 ad oggi (20 novembre 2025) con profondità maggiori di 30 km. La sismicità “disegna” lo sprofondamento dello “slab” litosferico verso nord-ovest. La stella rappresenta la posizione del terremoto del 18 novembre, a una profondità di 450 km, e mostra come questo evento sia avvenuto nella parte più profonda dello slab. Dalla figura si capisce anche bene come questa sismicità profonda sia completamente separata dall’attività sismica superficiale che caratterizza la costa campana e i vulcani presenti in quell’area (Campi Flegrei, Vesuvio, Ischia, ecc.).

    Sezione verticale che taglia il bacino tirrenico da nord-ovest a sud-est dove è riportata la sismicità dal 1985 ad oggi (20 novembre 2025) con profondità maggiori di 30 km. Si tratta di circa 8 mila terremoti con una distanza di proiezione di 90 km. Dati da terremoti.ingv.it, mappa e sezione di P. De Gori, INGV-ONT.

    Per capire meglio le caratteristiche del processo di “subduzione” del Tirreno meridionale è stato pubblicato su INGVterremoti.com qualche anno fa questo interessante articolo: 

    Una sorgente sismogenetica particolare: la subduzione

    In questo video pubblicato sul canale YouTUBE di INGVterremoti invece viene spiegata l’origine della sismicità profonda della regione e come questa abbia permesso di definire la geometria dello “slab” litosferico sprofondato nel mantello terrestre.


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  •   16 Nov 2025 09:00 - Terremoti del passato. Partecipa alla Call To Action “Custodi di Memoria”

    Hai vissuto un terremoto o in famiglia ti hanno raccontato un evento del passato? Conservi un oggetto che ti lega o rievoca un terremoto? Partecipa alla Call To Action “Custodi di Memoria”! Vogliamo valorizzare i tuoi ricordi e gli oggetti scrigni di memorie e farne un racconto collettivo, in cui tu sei protagonista. I contributi saranno inseriti nella prima Mappa dei ricordi dei terremoti d’Italia.

    Puoi partecipare inviando un testo, una immagine o un audio tramite Direct su Instagram o Messenger su Facebook, in alternativa compilando questo modulo. Hai tempo fino al 23 dicembre 2025. 

    Leggi il Regolamento

    L’iniziativa è promossa dal Dipartimento Terremoti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Obiettivo della Call To Action è aumentare la consapevolezza del rischio sismico attraverso l’esercizio della memoria storica

    La memoria storica passa attraverso le tracce presenti sui territori colpiti, soprattutto dai terremoti più forti: tracce geologiche, tracce nell’ambiente costruito e tracce culturali. Ci sono anche i racconti, che si tramandano in famiglia o i modi di dire. C’è poi la memoria personale, che custodisce in sé chiunque abbia vissuto direttamente un terremoto, grande o piccolo che sia. E ci sono anche gli oggetti (ad esempio sveglie, orologi, televisori, automobili, campane, quadri…) che portano i segni e i ricordi di un evento sismico. La Call To Action mira a coinvolgere direttamente i cittadini affinché i segni di questi momenti, a volte anche traumatici, possano diventare strumento di memoria, riflessione e cambiamento. Gli archivi familiari, narrativi e materiali, sono fonte inesauribile di informazioni che, se condivise, possono diventare racconto collettivo, quindi memoria di tutti. 

    Tutti possono diventare “Custodi di Memoria”!

    Partecipa e passaparola!

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  •   05 Nov 2025 09:00 - Rafforzare la resilienza delle comunità costiere per mitigare il rischio tsunami

    Ricorre oggi, 5 novembre, il World Tsunami Awareness Day (WTAD), giornata mondiale della consapevolezza del rischio tsunami istituita nel 2015 dall’Assemblea Generale dell’ONU.

    Il tema scelto quest’anno è Be Tsunami Ready: Invest in Tsunami Preparedness, “Essere pronti agli tsunami: investire nella preparazione”.  La campagna promossa a livello mondiale, su indicazione dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la Riduzione del Rischio di Disastri (UNDRR), è dedicata a promuovere la resilienza ai maremoti attraverso il Programma Tsunami Ready, un’iniziativa globale volta ad adottare strategie di sensibilizzazione e preparazione delle comunità costiere. Si tratta di un programma volontario che prevede il riconoscimento di Comune “Tsunami Ready” grazie al raggiungimento di una serie di indicatori nell’ambito di un percorso di sinergia tra istituzioni, popolazione e stakeholders. Ogni indicatore Tsunami Ready raggiunto è un tassello di resilienza donato alla comunità. Attualmente nel mondo hanno aderito al Programma 32 Paesi e 100 comunità.

    Tsunami Ready in Italia

    In Italia il Programma è stato recepito nell’ambito delle azioni del Sistema nazionale di Allerta Maremoti (SiAM), coordinato dal Dipartimento della Protezione Civile (DPC) e composto dal Centro Allerta Tsunami (CAT) dell’INGV e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).

    Il primo, e finora unico, Comune italiano ad aver ottenuto questo riconoscimento, nel 2024, è Minturno, in provincia di Latina, dove il 3 novembre 2025, in occasione del WTAD 2025, i ricercatori dell’INGV hanno svolto una iniziativa di sensibilizzazione sul tema con studentesse e studenti della scuola secondaria di primo grado “De Santis” di Minturno. 

    Quiz e attività interattive durante la mattinata del 3 novembre 2025 hanno incuriosito i più giovani

    È attualmente candidato al riconoscimento anche il Comune di Palmi (Reggio Calabria), dove nell’ambito del Progetto CoastWAVE 2.0, INGV e ISPRA stanno realizzando studi di approfondimento per la definizione delle aree di inondazione, fornendo supporto al Comune nel percorso Tsunami Ready. Proprio oggi, 5 novembre, i ricercatori del CAT-INGV saranno collegati con tutte le classi delle scuole secondarie di primo grado di Palmi per una lezione interattiva sui maremoti.

    Dalla memoria alla resilienza

    La preparazione e la resilienza delle comunità costiere nella costruzione di un futuro più sicuro si alimentano anche coltivando la memoria del passato, come fatto a Cascais, in Portogallo, l’1 novembre, per il WTAD 2025, nell’ambito del Progetto CoastWAVE 2.0. A 270 anni dal terremoto e dallo tsunami di Lisbona, il Comune di Cascais in collaborazione con l’UNESCO, ha promosso un convegno internazionale che ha reso omaggio alle vittime del grande disastro del 1755 e, attraverso le esperienze dei relatori, ha sottolineato le procedure e le iniziative per la mitigazione del rischio maremoto ai nostri giorni. Alessandro Amato, presidente del Sistema UNESCO di allerta precoce e mitigazione degli tsunami del Mediterraneo e Atlantico nord-orientale NEAMTWS, ha illustrato il ruolo e le procedure degli Tsunami Service Provider, come il Centro Allerta Tsunami dell’INGV, che svolge questa funzione per l’area Euro-Mediterranea. Focus anche sui National Tsunami Warning Center (NTWC) e le agenzie di Protezione Civile a livello nazionale e locale per assicurare una corretta gestione del rischio e la migliore operatività nelle emergenze.

    Alla fine del convegno, autorità, ospiti e ricercatori hanno commemorato le vittime del disastro del 1755 gettando petali in mare da uno dei moli che costeggiano la spiaggia principale di Cascais, città costiera a nord di Lisbona anch’essa colpita dal sisma e dallo tsunami. 

    Sistema Nazionale di Allerta Maremoti (SiAM): un anno di attività

    Rafforzare la resilienza delle comunità costiere contro gli tsunami è il richiamo dell’ONU in questa giornata ed è l’obiettivo comune di tutte le organizzazioni internazionali e nazionali che si occupano, a diversi livelli, di monitoraggio, preparazione e gestione del rischio maremoto. In Italia, nel 2025 il Sistema Nazionale di Allerta Maremoti (SiAM) ha portato a compimento diverse attività per la mitigazione del rischio tsunami. Tra queste, ricordiamo le recenti installazioni di boe tsunami a cura dell’INGV: una a largo di Stromboli, di fronte alla Sciara del Fuoco, che consente di rilevare anche maremoti generati da eventi non sismici, e due in profondità nel Mar Ionio nell’ambito del Progetto PNRR MEET (Monitoring Earth’s Evolution and Tectonics), capaci di rilevare in tempo reale onde anomale in alto mare. 

    Scopri di più sulle attività di rafforzamento delle reti di monitoraggio, sviluppo tecnologico e partecipazione attiva delle comunità costiere a cura del SiAM. 

    Con la collaborazione del CAT-INGV.


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