- 02 Apr 2025 07:18 - Ricostruzione post-sisma Etna 2018: il piano di delocalizzazione ed il dialogo con i cittadini
L’Italia possiede un vasto patrimonio urbanistico di eccezionale valore storico ed architettonico che, purtroppo, viene spesso messo a repentaglio e talvolta distrutto da frequenti terremoti di elevata magnitudo. In passato si è quasi sempre preferito riedificare “come era e dove era”, ovvero negli stessi luoghi colpiti dal sisma, per preservare la preziosa memoria culturale di aree abitate da migliaia di anni. Ma non tutto il tessuto urbano danneggiato da un sisma è sempre di effettivo pregio e significato. Nel caso in cui l’edificio colpito non abbia alcun valore storico-architettonico e fosse ubicato in aree di elevatissima pericolosità geologica e sismica, è opportuno interrogarsi se sia geoeticamente ed economicamente accettabile perseverare nella ricostruzione in quegli stessi luoghi così grandemente esposti alle calamità geodinamiche.
È questa la domanda che, sin dal suo insediamento, si sono posti i componenti della Struttura Commissariale governativa deputata alla ricostruzione dell’area colpita dal sisma Mw 4.9 che il 26 dicembre 2018 ha colpito il fianco orientale dell’Etna, danneggiando oltre tremila edifici in un’area di circa 205 km2 abitata da oltre centoquarantamila persone.
L’eruzione del 24-26 dicembre 2018: un evento vulcano-tettonico
Tra il 24 ed il 26 dicembre 2018 è avvenuta una breve eruzione laterale dell’Etna alimentata da una fessura lunga circa 2 km apertasi nella parete occidentale della Valle del Bove (VdB in Figura 1). La colata lavica è discesa lungo la parete della valle espandendosi, poi, verso est per raggiungere una lunghezza massima di circa tre chilometri, rimanendo confinata all’interno di un’area desertica e quindi senza provocare alcun danno a case ed infrastrutture realizzate dall’uomo.
L’eruzione, però, è stata accompagnata da quasi quattrocento terremoti avvenuti tra il 22 ed il 28 dicembre e da notevoli deformazioni del terreno concentrate sia lungo la fessura eruttiva, sia sui fianchi del vulcano. Il più energetico di questi terremoti (Mw 4.9), con ipocentro molto superficiale (poche centinaia di metri) è avvenuto alle 03:19:14 ora locale del 26 dicembre, originato dal movimento della faglia di Fiandaca e caratterizzato da vistose rotture cosismiche osservate al suolo lungo una fascia di territorio larga da decine di metri a qualche centinaio e lunga circa 10 km. Ciò ha comportato danni significativi al tessuto urbano attraversato dalla faglia, che hanno costretto migliaia di persone ad abbandonare definitivamente le proprie case.
Figura 1 – Mappa vulcano-tettonica dell’Etna che mostra la distribuzione spaziale delle principali faglie e delle fessure eruttive degli ultimi duemila anni (modificato da Neri e Neri, 2024). Sono evidenziati la colata lavica del 2018 e il terremoto Mw 4.9 del 26/12/2018 (stella bianca e meccanismo focale) generato dalla Faglia Fiandaca (FF). Le frecce gialle indicano la direzione di movimento dei fianchi instabili del vulcano. PFS = Sistema di faglie della Pernicana; RFS = Sistema di faglie di Ragalna; ARF = Faglia Acireale; ACF = Faglia di Aci Catena; APF = Faglia di Aci Platani; VdB =Valle del Bove. Le aree urbane sono indicate in grigio. L’area drappeggiata centrale con vari colori rappresenta la deformazione del suolo desunta dall’interferogramma in linea di vista (LOS) generato da coppie di dati satellitari Sentinel-1 acquisiti il 22 e il 28 dicembre 2018 (modificato da De Novellis et al. 2019). La ricostruzione post-sisma: dalle mappe strutturali alle ordinanze commissariali
Al fine di procedere in sicurezza con i lavori di riparazione e ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 2018, la Struttura Commissariale, in collaborazione con altre Enti dello Stato, ha preliminarmente redatto una mappa che ha individuato le faglie attivatesi durante quel sisma, realizzata in modo conforme alle Linee guida per la gestione del territorio in aree interessate da Faglie Attive e Capaci (FAC). Sono stati identificati tre tipi di “microzone omogenee” in prospettiva sismica: la Zona di Attenzione (ZAFAC), la Zona di Suscettibilità (ZSFAC) e la Zona di Rispetto (ZRFAC). La Zona di Rispetto (ZRFAC) è la più pericolosa, poiché individua l’area dove si manifesta la fagliazione del suolo, ovvero un’area con una larghezza minima di 30 metri disegnata attorno ai piani di faglia emergenti in superficie (Figura 2). Una volta creata questa mappa (ne abbiamo parlato qui), è stato possibile emanare le ordinanze commissariali per la ricostruzione.
Nelle aree non direttamente interessate da faglie superficiali i privati cittadini e le istituzioni pubbliche hanno potuto immediatamente presentare progetti corredati da approfondimenti geologici ed indagini che hanno migliorato la comprensione del substrato geologico in ogni specifica area di progetto. Una comprensione più approfondita del contesto geo-strutturale è stata richiesta all’interno delle zone di Attenzione (ZAFAC) e di Suscettibilità (ZSFAC), per escludere la presenza di faglie nell’area di impronta dell’edificio o nelle sue immediate vicinanze.
Figura 2 – Pianificazione della ricostruzione in corrispondenza e in prossimità di faglie attive e capaci (FAC). Gli edifici indicati con (a), (b) e (c) non vengono né riparati né ricostruiti, poiché situati all’interno della Zona di Rispetto (ZRFAC); essi rientrano nel piano di delocalizzazione e possono essere ricostruiti in un luogo più sicuro. Per quanto riguarda gli edifici (d) situati in Zona di Suscettibilità (ZSFAC), è possibile procedere alle riparazioni a condizione che i progetti siano accompagnati da studi geologici approfonditi che dimostrino l’assenza di faglie a una distanza di almeno 30 metri dall’edificio (modificato da Neri e Neri, 2024). Il piano di delocalizzazione, una scelta geoetica
Per gli edifici situati all’interno della Zona di Rispetto (ZRFAC), essendo soggetti non solo alle scosse sismiche generate dallo spostamento del piano di faglia ma anche alla fratturazione (fagliazione) del terreno sotto le loro fondamenta, è stato elaborato un piano di delocalizzazione (Figura 3). Questa strategia è stata attuata per garantire la sicurezza dei cittadini e per evitare di impiegare risorse per la ricostruzione di edifici fortemente a rischio di crollo nel giro di pochi anni o decenni, vista l’elevata frequenza dell’attività della Faglia di Fiandaca.
Il piano prevede la delocalizzazione di 58 edifici per un costo complessivo di circa 31 milioni di euro, normata dall’Ordinanza Commissariale n. 18 del 21 dicembre 2020. L’ordinanza dispone che ai proprietari di immobili danneggiati situati all’interno della Zona di Rispetto (ZRFAC) (Figure 4-6) sia concesso un contributo economico equivalente al valore dell’immobile da delocalizzare. Dopo la demolizione dell’edificio danneggiato dal sisma, ai proprietari viene offerta la possibilità di acquistare un edificio già esistente nel territorio o di costruirne uno nuovo in un’area sismicamente e geologicamente più sicura.
Esiste, però, un’altra faccia della medaglia: la delocalizzazione di un edificio, soprattutto quando esso è situato all’interno di un’area urbana consolidata da tempo, costringe intere famiglie a “emigrare”. Questo viene percepito dalla comunità come una perdita di valore economico (territoriale) e sociale (relazionale), che deve, quindi, essere mitigata come possibile. Infatti, soprattutto quando le comunità sono numericamente piccole come nel caso dei villaggi di Fleri e Aci Platani, particolarmente coinvolti nel piano di delocalizzazione, la perdita di decine di unità familiari può rappresentare una sfida socio-economica significativa, per cui sono state previste delle compensazioni in favore della collettività che rimane ad abitare in quei villaggi. Infatti, i terreni degli edifici delocalizzati sono stati gratuitamente assunti al patrimonio dei Comuni coinvolti i quali ricevono adeguate risorse economiche dal Commissario Straordinario per riqualificare urbanisticamente tali aree mediante la costruzione di parchi urbani e aree verdi, strade, parcheggi (Figura 3), ovvero opere compatibili con la fragilità geologica di quei luoghi e ad uso e consumo delle comunità locali.
Figura 3 – Stralcio della mappa che illustra il piano di delocalizzazione riguardante una parte dell’area urbana di Aci Platani. Gli edifici da delocalizzare sono indicati in verde, situati nella Zona di Rispetto della faglia indicata dalla linea rossa. Le linee azzurre rappresentano fratturazioni minori dei terreni. Gli edifici delocalizzati sono stati già demoliti; in quelle aree liberate dalle macerie il Comune di Acireale sta già realizzando dei parcheggi con fondi del Commissario straordinario, trasformando un’area pericolosamente soggetta a continui crolli in una risorsa per la collettività. La risposta della popolazione alla delocalizzazione della propria abitazione
Le reazioni al piano di delocalizzazione proposto dal Commissario Straordinario sono state molteplici e, a volte, di segno opposto. C’è chi ha subito accettato favorevolmente e colto l’occasione offerta dallo Stato di allontanare la propria abitazione da un territorio pericoloso e chi, per contro, si è opposto strenuamente a tale proposta, interpretandola come un atto ostile e cercando, quindi, di mettere in discussione il piano di delocalizzazione attraverso la ricerca di ulteriori pareri tecnici aderenti alle proprie aspettative di rimanere ad abitare negli stessi luoghi nei quali avevano vissuto fino alla data del sisma. In un caso emblematico un cittadino, a sue spese, ha fatto eseguire una trincea paleo-sismologica interpretata da specialisti del settore, nella speranza di confutare le evidenze di superficie riportate nella mappa commissariale: un tentativo risultato alla fine vano, poiché la trincea non ha fatto altro che acclarare ancor di più le evidenze geostrutturali di superficie.
Figura 4 – Esempio di fagliazione superficiale sul pavimento e sulle fondazioni di un edificio situato in Zona di Rispetto (ZRFAC), che è stato delocalizzato. Informazioni insufficienti o scelte irrazionali
Abbiamo, quindi, iniziato a riflettere su queste reazioni di segno così contrastante, promuovendo occasioni di incontro con la popolazione coinvolta nel piano di delocalizzazione. Inizialmente ci siamo chiesti il perché delle reazioni negative, ricercando le motivazioni poste alla base della decisione di alcuni individui di vivere in luoghi pericolosi, per esempio aree prossime a faglie sismogenetiche o zone fortemente suscettibili all’invasione di colate laviche. Abbiamo appurato che, spesso, questa decisione viene adottata sulla base di una mancanza di sufficienti informazioni: molte persone non sono consapevoli della elevata pericolosità del paesaggio geologico italiano ed in particolare delle regioni vulcaniche attive quali quelle etnee.
A volte, però, nonostante una generica consapevolezza del pericolo, alcuni individui scelgono di stabilire la propria residenza in aree ad elevata pericolosità indotta da fenomeni naturali.
Percezione, minimizzazione e negazione del pericolo
Per spiegare questi comportamenti siamo partiti dalla considerazione che terremoti ed eruzioni vulcaniche sono eventi improvvisi, discontinui ed imprevedibili anche se piuttosto rari, soprattutto quelli forti. Di conseguenza, la minaccia non è sempre percepibile dalla popolazione comune (Figura 5), anche quando il pericolo è raffigurato in mappe già fruibili e note. In casi di eventi calamitosi incombenti, gli individui possono mettere in atto strategie difensive che utilizzano per far fronte a eventi stressanti e per proteggersi da emozioni e pensieri che trovano insopportabili; in questo caso specifico le persone possono: a) minimizzare la gravità del pericolo, b) negare la sua esistenza; c) utilizzare il “pensiero magico”.
Chi minimizza ingiustificatamente il problema è incapace di gestire l’impatto emotivo dell’informazione che gli viene fornita, per cui ne riduce il valore allineandola alle sue capacità psicologiche, emotive e cognitive. Chi vuole costruire la sua casa, per esempio, si rassicura affermando: “costruiremo una casa in grado di resistere a qualunque terremoto. Non c’è motivo di preoccuparsi se si verifica un evento del genere”. Chi, invece, nega l’esistenza del problema, lo “cancella” dalla propria coscienza. Questo può avvenire per gli stessi motivi citati in precedenza, ma in questo caso indica delle risorse personali ancora più modeste. Per esempio, queste persone possono affermare: “…ma cosa sarà mai per un poco di terra che trema…!”. Tra i “negazionisti” più estremi rientrano anche coloro che non credono alla scienza e che si rifugiano in memorie popolari o esperienze personali che, tuttavia, rappresentano solo alcuni degli scenari possibili, ovvero quelli a loro più comodi e confortevoli. Ad esempio, taluni individui sopravvissuti ad un sisma assumono la convinzione che tale esperienza positiva sarà certamente replicata in futuro. Infine, nel caso del pensiero magico, le persone tendono a fare affidamento su intuizioni e collegamenti non logici e/o fondati su una conoscenza non scientifica. Il fondamento di tali affermazioni risiede nelle proprie esperienze personali o di persone vicine che tuttavia non sono rappresentative dei diversi scenari possibili. Un esempio di utilizzo del pensiero magico è il seguente: “mio nonno mi raccontava che la sua casa è stata risparmiata dal sisma, sicuramente anche a me andrà così”.
Questi comportamenti di coping, ovvero una serie di comportamenti messi in atto dagli individui per affrontare e gestire eventi stressanti, sono stati ampiamente documentati negli esseri umani e vengono spesso applicati, con diversi gradi di consapevolezza, in situazioni di disagio psicologico ed emotivo.
Figura 5 – Orlo di frana sismo-indotta in corrispondenza dell’affioramento di una faglia che attraversa una strada nel villaggio di Fleri, ribassandola e traslandola verso est (a sinistra nella foto) di alcuni centimetri. Quando questi danni vengono riparati per il ripristino della viabilità, la percezione del potenziale pericolo dovuto all’esistenza della faglia diminuisce sensibilmente, venendo rapidamente dimenticata dalla comunità locale. Una reazione di segno opposto: la paura eccessiva
Una risposta alternativa ed inversa alle precedenti è una reazione di paura molto intensa, che quando raggiunge livelli elevati riduce la lucidità dell’individuo e la sua capacità di ragionare razionalmente (Figura 6). In seguito alla rivelazione di una minaccia potenziale o probabile, alcuni individui hanno la tendenza ad aspettarsi esclusivamente gli scenari attesi più avversi. Questo conduce ad ingigantire ingiustificatamente le loro preoccupazioni, piuttosto che a valutare realisticamente le situazioni. Il disagio psicologico provato da queste persone in seguito alla prospettiva di un potenziale disastro può avere un impatto significativo sulla loro vita quotidiana. Per esempio, nonostante abbiano preso tutte le precauzioni necessarie, tali individui possono ancora provare apprensione e manifestare un’ansia elevata nei confronti degli eventi sismici, anche se dimorano in un edificio antisismico e situato a una distanza considerevole da faglie attive. Ciò si traduce anche in periodi prolungati di insonnia causati dell’apprensione per ipotetiche esperienze traumatiche future associate ad un ipotetico sisma. Questa reazione può essere particolarmente intensa in individui che hanno già vissuto l’esperienza di un sisma e conseguentemente subito danni significativi alla propria abitazione. Esperienze impattanti come queste possono lasciare tracce profonde nella mente e nel corpo, portando a una condizione di ipervigilanza e a una risposta di stress cronica.
Figura 6 – Cedimento delle strutture portanti in cemento armato di un edificio costruito sopra un piano di faglia affiorante in superficie; l’edificio è stato successivamente delocalizzato. In corrispondenza dei pilastri danneggiati, il sistema di fondazione dell’edificio risulta tagliato dalla fagliazione superficiale. Chi è sopravvissuto all’esperienza di subire il sisma in costruzioni così gravemente danneggiate può rimanere permanentemente condizionato dal trauma, sviluppando paure che perdurano anche dopo che si è trasferito in zone sismicamente sicure. Patologie o strategie difensive?
È importante sottolineare che i comportamenti prima descritti non indicano necessariamente la presenza di una patologia. Piuttosto, rappresentano strategie difensive che le persone utilizzano per far fronte a situazioni di disagio o che le costringono a lasciare la loro zona di comfort, ovvero il loro luogo sicuro, in questo specifico caso rappresentato dall’edificio e/o dal quartiere in cui risiedono e vivono.
L’impatto psicologico della delocalizzazione della propria casa è considerevole e può essere vissuto in modo negativo, in particolare per individui emotivamente vulnerabili o che hanno una storia di pregresso disagio economico o sociale determinato da qualsivoglia ragione. Anche il significato soggettivamente attribuito alla propria casa fa parte di queste dinamiche: la casa non rappresenta solo un edificio fisico, ma è anche un luogo depositario di ricordi, affetti e legami sociali. A titolo esemplificativo, si pensi a un individuo che ha investito emotivamente ed economicamente nella costruzione della propria abitazione, spesso l’unica in suo possesso, dimostrando un impegno costante nel progetto, facendo notevoli sacrifici personali e dedicando anni, se non decenni, nell’impresa. Poi, inaspettatamente ed improvvisamente, un terremoto provoca danni irreparabili alla sua casa, azzerando in pochi secondi il frutto del suo faticoso lavoro. È intuibile concludere che quella persona, in quella situazione, provi un profondo senso di perdita, tristezza e disorientamento, venendo a mancare un chiaro punto di riferimento della sua vita e dovendosi, poi, confrontare con la cruda realtà della distruzione di un luogo che prima percepivano come sicuro e accogliente. Anche la distruzione di edifici di culto, costituendo dei luoghi di aggregazione collettiva, può rappresentare una perdita identitaria (Figura 7).
La perdita della propria casa, in termini simbolici, rappresenta il crollo di un punto di riferimento fondamentale per la vita di tutti noi, ovvero l’assenza di un luogo sicuro a cui tornare, lo sgretolamento delle memorie a cui siamo affezionati, che porta con sé emozioni che possono procurare un male quasi fisico: paura, rabbia, smarrimento, confusione, abbandono, tristezza, vuoto. Dobbiamo, comunque, aspettarci che le reazioni varino da individuo a individuo, in base all’esperienza di vita, alle capacità cognitive e alle risorse culturali, sociali ed economiche di ogni persona. Tali esperienze possono essere classificate come “shock biografico”, un termine usato per descrivere un momento della storia dell’individuo che assume il ruolo di spartiacque, che segna un prima e un dopo nella sua vita.
Figura 7 – Complesso Parrocchiale Maria SS. del Rosario di Fleri, nel Comune di Zafferana Etnea. A destra la chiesa antica, ristrutturata dopo il sisma del 1984 e nuovamente danneggiata in occasione del sisma del 2018. A sinistra la nuova chiesa, realizzata recentemente con strutture antisismiche in cemento armato, che ha assorbito bene lo scuotimento sismico del 2018 danneggiandosi solo lievemente. Questa chiesa rappresenta da sempre un punto di riferimento identitario di Fleri e per questo motivo si è scelto di riparare nuovamente l’intero complesso parrocchiale, compresa la chiesa antica, attraverso interventi architettonici e strutturali innovativi mirati a garantire la sua stabilità in caso di futuri sismi. L’importanza del dialogo empatico tra lo Stato ed i cittadini terremotati
Ciò che abbiamo compreso nel corso di questo studio è che la semplice conoscenza delle cose, cioè il possedere mezzi cognitivi e culturali adeguati per comprendere pienamente l’informazione sulla pericolosità di un certo luogo, non è sufficiente per assumere atteggiamenti conservativi e/o saggi. Sapere non basta. Questo avviene perché gli individui sono capaci di auto-ingannarsi e persino di distorcere la realtà quando queste azioni servono a proteggersi da emozioni e pensieri che trovano insostenibili. Ciò evidenzia l’importanza di considerare l’assistenza psicologica quale elemento cruciale e complementare del sostegno alle popolazioni colpite da disastri naturali. Nel fornire assistenza psicologica, è essenziale agire tempestivamente diversificando l’approccio in base al tipo e dimensione del disastro, agli interventi programmati ed ai tempi previsti per la ripresa. La portata del sostegno, quindi, dovrebbe andare oltre la ovvia assistenza economica. Dovrebbe, cioè, mirare ad aiutare le persone a fare fronte alle difficoltà che incontrano nell’immediato dopo la tragedia, fornendo un supporto emozionale aggiuntivo per gestire la conseguente mancanza di punti di riferimento fondamentali per la loro esistenza. Nel caso della ricostruzione post-sisma 2018, il dialogo intercorso sin da subito tra i tecnici della struttura commissariale governativa e la popolazione colpita dal sisma (Figura 8), in particolare quella coinvolta nella delocalizzazione, rappresenta un primo passo significativo per comprendere la natura multiforme e sfaccettata del necessario sostegno, oltre la semplice assistenza economica, basato sulla condivisione empatica del disagio.
Figura 8 – La comunicazione empatica tra i componenti della Struttura Commissariale ed i cittadini è stata curata sin dal primo momento con particolare attenzione, attraverso l’organizzazione di numerosi incontri (fino ad uno al mese) sia sul territorio, sia con convegni tematici, ed anche con la predisposizione di uno “sportello del cittadino” accessibile da remoto, uno strumento molto apprezzato ed utilizzato da chiunque ha avuto bisogno di un contatto immediato con il Commissario ed i suoi tecnici. La comunicazione è avvenuta attraverso tutti i media disponibili, compresi quelli “tradizionali” come la carta stampata di cui riportiamo alcuni stralci in questa figura. Delocalizzare gli edifici più a rischio: una strategia esportabile anche per altre calamità?
Riteniamo che non sia geoeticamente accettabile ricostruire sempre e comunque in qualsiasi area colpita da una calamità naturale. In seguito a un terremoto disastroso, ad esempio, è essenziale identificare le zone con un rischio geologico e sismico inaccettabilmente alto, per poi procedere a delocalizzare le strutture edilizie più esposte e quindi a ridurre la densità urbana nelle aree più a rischio. Il problema è, ovviamente, stabilire in modo univoco e condiviso quando un determinato rischio è tanto “inaccettabilmente alto” da suggerire tale pratica. Nel caso di fenomeni di fagliazione superficiale che si ripetono con frequenza elevata colpendo sempre gli stessi luoghi, è a nostro avviso geoeticamente giustificabile delocalizzare gli edifici che vi ricadono sopra o nell’immediato intorno.
È, tuttavia, di fondamentale importanza che le popolazioni coinvolte siano consapevoli del contesto geologico in cui vivono e delle misure che possono essere adottate per mitigare gli effetti negativi di futuri disastri naturali. Per facilitare l’accettazione delle scelte di pianificazione è indispensabile che le autorità governative responsabili della ricostruzione delle aree colpite da disastri comunichino in modo empatico con le popolazioni colpite, spiegando le motivazioni alla base delle loro scelte (Figura 8).
È, inoltre, significativo il fatto che la metodologia sviluppata nella regione etnea per il trattamento degli edifici esposti a rischi geologici e sismici particolarmente elevati sia stata successivamente adottata, con opportuni adattamenti normativi che tengono conto delle specificità locali, alla ricostruzione di altre regioni colpite da terremoti nell’Italia centrale (terremoti del 2016-2017) e ad Ischia (sisma 2017). Questo approccio alla ricostruzione post-sisma rappresenta, quindi, un modo nuovo, che noi riteniamo logico e geoeticamente condivisibile di pianificare la ripresa socio-economica di aree urbane colpite da fenomeni di fagliazione superficiale in Italia e nel mondo.
Ringraziamenti
Esprimiamo la nostra profonda gratitudine a C. Doglioni, già Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ed a S. Scalia, Commissario di Governo per la Ricostruzione delle Aree Terremotate dell’Etna sisma 2018, per il loro prezioso e costante supporto nel corso di questo progetto. Ringraziamo, altresì, M. L. Carbone, A. M. Londino, G. Licciardello e G. Scapellato per la loro assistenza nella preparazione del piano di delocalizzazione, ed i geologi del Genio Civile di Catania F. Chiavetta, G. Filetti e C. Marino, per il loro contributo nell’elaborazione della mappa delle faglie attivate dal sisma del 26 dicembre 2018.
Per approfondire
De Novellis, V., Atzori, S., De Luca, C., Manzo, M., Valerio, E., Bonano, M., et al. (2019). DInSAR analysis and analytical modeling of Mount Etna displacements: The December 2018 volcano‐tectonic crisis. Geophysical Research Letters, 46, 5817–5827. https://doi.org/10.1029/2019GL082467.
Neri, M., & Neri, E. (2024). Etna 2018 earthquake: rebuild or relocate? Applying geoethical principles to natural disaster recovery planning. JOURNAL OF GEOETHICS AND SOCIAL GEOSCIENCES, 2(Special Issue), 1-28. https://doi.org/10.13127/jgsg-49.
a cura di Marco Neri (INGV, Osservatorio Etneo, Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea – Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo Italiano – Acireale) e Emilia Neri (Psicologa e Psicoterapeuta – Aci Castello).
L’immagine di copertina di questo articolo mostra l’interno della parte antica della Chiesa Parrocchiale di Maria SS. del Rosario di Fleri, nel comune di Zafferana Etnea. Il muro perimetrale, realizzato in pietra lavica e malta, è parzialmente crollato in conseguenza del sisma del 26 dicembre 2018. Il tetto in legno, invece, sostenuto da una struttura metallica costituita da colonne, travi e tiranti, realizzata all’interno del corpo edilizio dopo il sisma del 1984, ha resistito allo scuotimento sismico.
Licenza
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Vai alla notizia - 02 Apr 2025 07:00 - Alla scoperta della Terra con i cinque sensi
Ascoltare le onde sismiche, vedere il campo magnetico terrestre, oscillare su una tavola che simula le vibrazioni generate da un evento sismico. Queste e altre esperienze multisensoriali sono previste all’interno della mostra “Terra – Il Pianeta in cinque sensi”, organizzata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in programma a Roma, a Villa Torlonia, dal 3 aprile al 31 agosto 2025.
Il percorso permette ai visitatori di conoscere e riconoscere alcuni fenomeni naturali, tra i quali i terremoti, attraverso i cinque sensi. Olfatto, gusto, tatto, udito e vista sono il filo conduttore di un viaggio alla scoperta del sistema Terra e della sua struttura interna, dell’evoluzione geologica e ambientale del nostro Pianeta, delle problematiche legate ai rischi naturali, dei processi alla base dei cambiamenti climatici e dell’uso sostenibile delle risorse naturali.
Il pubblico potrà anche visitare una riproduzione della Sala di Sorveglianza Sismica e Allerta Tsunami della Sede Centrale dell’INGV. Sono previsti inoltre incontri di divulgazione scientifica con ricercatrici e ricercatori INGV.
Giovedì 3 aprile, a partire dalle ore 17:30, sono previsti una visita guidata e un seminario dal titolo “Dai Colli Albani al Canale di Sicilia: viaggio tra i vulcani attivi d’Italia” a cura di ricercatori e ricercatrici dell’INGV.
L’esposizione è promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Scuola, Formazione e Lavoro, realizzata con il sostegno di Epos (European Plate Observing System) e con Zètema Progetto Cultura.
Il percorso sensoriale, ideato e curato dall’INGV con Dotdotdot (studio di design autore dello storytelling e dell’allestimento della mostra), vede anche la collaborazione di MUST (Museo Universitario di Scienze della Terra – Sapienza Università Roma), AAA – All Area Access (MONK Roma, co-founded by European Union) e l’Associazione di Volontariato Museum – ODV per la promozione dell’inclusività e l’accessibilità al patrimonio culturale.
L’iniziativa fa parte del programma di eventi per le celebrazioni del venticinquesimo anniversario dell’istituzione dell’INGV.
DOVE
Roma, Villa Torlonia, Technotown – Hub della scienza creativa di Roma Capitale
DATE E ORARI
La mostra sarà visitabile dal 3 aprile al 31 agosto 2025, dal martedì alla domenica dalle ore 9:30 alle 19:00 (ultima entrata alle 18:00) e con biglietto d’ingresso di € 1,00 a visitatore. Prenotazione obbligatoria solo per gruppi e scuole.
Vai alla notizia - 01 Apr 2025 11:31 - Risultati preliminari sulla faglia di Sagaing in Myanmar, terremoto M 7.7 del 28 marzo 2025
Il 28 marzo 2025, alle 07:20 ora italiana (12:50 ora locale), un fortissimo terremoto di magnitudo Mw 7.7 ha colpito la regione centrale del Myanmar. L’epicentro è stato localizzato a pochi chilometri a ovest di Mandalay, la seconda città più popolosa del Paese. La rottura lungo la faglia si è propagata in circa 90 secondi e inizialmente, si pensava che avesse attivato una sezione lunga circa 200 km della Sagaing Fault, una delle faglie attive e sismicamente più pericolose del sud-est asiatico. Analisi successive stanno evidenziando che la lunghezza della porzione di faglia attivata potrebbe essere molto più lunga di quella ipotizzata inizialmente e che la rottura si sia propagata verso sud con una velocità particolarmente elevata.
Qui cercheremo di dare informazioni su alcuni dei risultati davvero preliminari ma che potrebbero chiarire alcuni aspetti evidenziati nelle prime ore.
La faglia di Sagaing fa parte del complesso sistema di faglie che corrono in direzione nord-sud nella parte centrale del Myanmar e consentono lo spostamento laterale delle placche Burma (a ovest) e Sonda (a est), con la prima che si sposta verso nord rispetto alla seconda. Il meccanismo focale del terremoto del 28 marzo è congruente con questa cinematica e compatibile con l’attivazione della faglia di Sagaing, una faglia ben nota e abbastanza ben mappata in superficie. Si tratta di una faglia trascorrente lunga circa 1200 km e orientata nord-sud che si estende dal Mare delle Andamane, a sud, all’Himalaya sud-orientale, a nord. Se il movimento relativo fra le due placche citate è stimabile in 35-36 mm/anno (e.g. Socquet et al., 2006), la faglia di Sagaing ne accomoda circa la metà, ovvero circa 20 mm/anno (Tha Zin Htet Tin et al., 2022).
Una domanda a cui stanno cercando di rispondere i sismologi e i geologi in questi giorni è: quanto è lunga la porzione della faglia di Sagaing che si è attivata con il terremoto del 28 marzo? La risposta a questa domanda ha delle importanti implicazioni in termini di estensione del danneggiamento, soprattutto verso il settore meridionale del Myanmar. Sappiamo che per un terremoto forte come quello del 28 marzo la rottura della faglia potrebbe estendersi per una lunghezza da molte decine ad alcune centinaia di chilometri.
Le stime iniziali dello spostamento della faglia sono state calcolate utilizzando solo dati da sismometri lontani. Questi dati hanno consentito di calcolare la magnitudo del terremoto in modo relativamente rapido e accurato, fornendo anche una stima del tempo che ci è voluto perché si verificasse la rottura. Il primo modello di rottura dell’USGS stimava fino a ~5 metri di spostamento su una lunghezza di ~200 chilometri, che andava circa da latitudine ~22,5°N a 20,5°N, con una durata del processo di rottura di circa 90 secondi. Questo numero è coerente con una rottura che si propaga nella crosta a una velocità di ~2 chilometri al secondo (circa sei volte più veloce della velocità del suono nell’aria).
Le analisi sismologiche successive hanno portato ad un secondo modello, il 29 marzo, con spostamenti (slip) fino a ~6,5 metri su una faglia lunga ~350 chilometri ma che non aveva avuto scorrimenti rilevanti lungo tutta la sua superficie.
Ieri sera, 31 marzo, il modello è stato aggiornato grazie ad ulteriori dati disponibili (includendo anche i dati di due stazioni accelerometriche del Myanmar National Seismic Network, MM, https://doi.org/10.7914/SN/MM ed alcuni dati satellitari) e i risultati preliminari suggeriscono una rottura ancora più lunga che raggiunge i 400 km. Le figure successive mostrano la mappa con la traccia della faglia (Fig. 1) e il modello di scorrimento lungo il piano di faglia (Fig. 2), elaborati dall’USGS.
Figura 1 Proiezione superficiale della distribuzione dello scorrimento sovrapposta alla batimetria GEBCO. Le linee bianche spesse indicano i bordi principali delle placche [Bird, 2003]. I cerchi grigi, se presenti, sono le localizzazioni degli aftershocks, dimensionate in base alla magnitudo. Fonte: USGS. Figura 2 Sezione trasversale della distribuzione dello scorrimento (slip) lungo il piano di faglia. La direzione di scorrimento (strike) è indicata sopra ogni piano di faglia e la posizione dell’ipocentro è indicata da una stella. L’ampiezza dello slip è mostrata a colori e la direzione del movimento dell’hanging wall rispetto al footwall (rake angle, angolo di inclinazione) è indicata con le frecce. I contorni mostrano il tempo di inizio della rottura in secondi. L’apparente assenza di slip verso l’estremità meridionale (sinistra) del modello è probabilmente dovuta alla mancanza di dati adeguati. Si prevede che le prossime osservazioni satellitari potranno aumentare la risoluzione in quell’area. Fonte: USGS. Una lunga rottura “super-shear”?
Da questo modello di scorrimento si osserva come la durata del processo di rottura sia di circa 90 secondi, una stima ragionevolmente concorde con quella che può essere ricavata anche dall’analisi diretta dei sismogrammi.
Figura 3 La funzione sorgente (Source time function) per il terremoto del Myanmar, che descrive la velocità di rilascio del momento sismico, riscalata alla velocità di picco (elencato nel grafico in alto a destra come Mr). La linea rossa tratteggiata indica la fine del processo di rottura che si è completato in 80-90 secondi. Fonte: USGS. Combinando la lunghezza della faglia con il tempo totale del processo di rottura, è possibile stimare la velocità della rottura stessa. In questo caso, se la rottura della faglia di Sagaing è di circa 400 km (ipotesi attuale), allora la velocità media della rottura è molto più alta di quella comunemente osservata. Pertanto, se il fronte di rottura dall’ipocentro avesse percorso 350 km in 80 secondi (come si evince dal modello), la sua velocità media sarebbe pari a circa 4,4 km/s. In questo caso, il terremoto del 28 marzo ricadrebbe in una classe speciale di rotture di faglia che sono chiamate eventi supershear. Durante questi eventi, la rottura si propaga lungo il piano di faglia più velocemente delle onde S (shear waves o onde di taglio, meglio note come onde S). Quindi, supershear significa semplicemente più veloce delle onde di taglio.
Proprio come un jet supersonico crea un boom sonico, una rottura supershear crea un’onda d’urto: le aree nella direzione della rottura (in questo caso nella parte meridionale della faglia) saranno colpite simultaneamente da una serie di onde S sovrapposte provenienti da diversi momenti di rottura. Questo genera scuotimenti amplificati e quindi danneggiamenti maggiori.
Sappiamo che il terremoto del Myanmar ha avuto origine a nord, vicino a Mandalay. Per stimare anche solo approssimativamente se una parte significativa della faglia possa essersi rotta in modalità supershear con le relative amplificazioni, è necessario conoscere con maggiore accuratezza quanto sia stata lunga la rottura totale sulla faglia, specialmente verso sud, accuratezza che necessita di dati nei pressi della faglia che al momento non sono disponibili. Maggiori certezze in questo senso potranno venire con la modellazione dei dati satellitari quando saranno disponibili e con i modelli dinamici che valuteranno con maggior precisione la velocità di rottura.
Una rottura lunga il doppio della stima iniziale e l’amplificazione causata da un possibile supershear hanno un’implicazione immediata nella quantificazione dell’impatto sul territorio, in particolare nelle aree a sud della faglia. Ad esempio Bangkok si trova 1000 km a sud dall’epicentro, ma la parte meridionale della frattura è più vicina (circa 600 km). Tuttavia, questo probabilmente non è sufficiente da solo a spiegare i danni avvenuti in questa città. Infatti, è anche possibile che a Bangkok vi siano state amplificazioni causate dagli effetti della geologia locale. Le ampiezze delle onde sismiche in genere aumentano quando le onde attraversano materiali come i sedimenti alluvionali. In alcuni casi, le onde sismiche con lunghezze d’onda specifiche possono risuonare all’interno di un bacino sedimentario e gli edifici con la stessa frequenza di risonanza possono quindi oscillare più del previsto e danneggiarsi. In questo senso possiamo citare ad esempio Città del Messico che nel 1985 subì gravi danni e vittime a causa di un terremoto a 400 km di distanza. La città è, infatti, costruita su un antico bacino lacustre i cui sedimenti tendono ad amplificare la durata e l’ampiezza dello scuotimento.
Qui sono riportati gli eventi sismici localizzati finora dal Euro-Mediterranean Seismological Centre (aggiornamento di oggi 1 aprile alle ore 6:32 UTC).
Terremoti localizzati finora dal Euro-Mediterranean Seismological Centre (aggiornamento di oggi 1 aprile alle ore 6:32 UTC). Ulteriori aggiornamenti su questo terremoto saranno possibili quando si avranno a disposizione altri dati per fare analisi più approfondite.
A cura di Concetta Nostro, Alessandro Amato e Emanuele Casarotti, INGV.
Referenze
Hubbard, J. and Bradley, K., 2025. Updates on the M7.7 Myanmar earthquake. An unusually long, possibly supershear rupture.
Licenza
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Vai alla notizia - 01 Apr 2025 09:19 - Le mappe mensili della sismicità, marzo 2025
Mappa dei terremoti avvenuti in Italia e nelle aree limitrofe dal 1 al 31 marzo del 2025.
Sono stati 1667 gli eventi localizzati dalla Rete Sismica Nazionale dal 1 al 31 marzo 2025, un numero ancora in aumento rispetto allo scorso mese di febbraio con una media che però rimane costante a circa 53 terremoti al giorno considerando il minor numero di giorni dello scorso mese. Dei 1667 eventi registrati, 231 terremoti hanno avuto una magnitudo pari o superiore a 2.0 e 29 eventi magnitudo pari o superiore a 3.0. Entrambi questi valori sono in linea con il mese di febbraio e si confermano al di sopra di quelli registrati nei precedenti mesi.
Questo ulteriore incremento di sismicità e del numero di eventi registrati a marzo 2025 è ancora legato, come nel mese di febbraio, alla sismicità nell’area dei Campi Flegrei con diversi sciami sismici registrati e con l’evento più forte verificatosi il 13 marzo nell’area di Bagnoli, di magnitudo Md 4.6 (±0.3), risentito in una vasta area, da Bacoli verso ovest fino ai quartieri orientali di Napoli in prossimità dell’area vesuviana, e in vari Comuni presenti nei quadranti NE-N-NW dell’area napoletana.
Oltre alla sismicità in quest’area sono stati registrati in questo mese altri terremoti di magnitudo superiore a 4 in diverse aree del territorio nazionale. L’evento di magnitudo maggiore, Mw, 4.8, è avvenuto il 14 marzo al largo della costa garganica, nei pressi di Lesina (provincia di Foggia), con risentimenti diffusi non solo nelle aree costiere e interne della Puglia, ma anche nelle vicine regioni Molise, Campania e Basilicata. Nei giorni successivi altri due terremoti di magnitudo superiore a 4 sono stati localizzati nei pressi delle Isole Egadi, ML 4.0 il 15 marzo, e in provincia di Potenza, Mw 4.2, il 18 marzo. Anche quest’ultimo evento sismico è stato ampiamente risentito sia nel Potentino, in altre aree della Basilicata ed anche nelle regioni limitrofe di Puglia e Campania.
Sempre in quei giorni ricordiamo anche la sequenza sismica in provincia di Catanzaro, tra i comuni di Marcellinara, Miglierina e Tiriolo, già attiva da febbraio, che ha fatto registrare in marzo oltre 300 terremoti di magnitudo non particolarmente elevate, fino a ML 3.4.
A questo link si trova l’estrazione dal portale terremoti.ingv.it di tutti gli eventi sismici avvenuti in Italia e in aree limitrofe nel mese di marzo 2025.
Le mappe, insieme ad altri prodotti del monitoraggio, sono disponibili sul sito dell’Osservatorio Nazionale Terremoti e sul Portale Web dell’INGV.
La rubrica “I terremoti del mese” è a cura di M. Pignone (INGV-ONT)
Vai alla notizia - 29 Mar 2025 10:40 - Fabio Florindo è il nuovo Presidente dell’INGV
Con una carriera di alto prestigio internazionale e una comprovata leadership scientifica, Fabio Florindo si prepara a guidare l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia con uno sguardo all’eccellenza e all’innovazione, consolidando ulteriormente la posizione dell’Istituto come punto di riferimento globale nel campo delle Geoscienze.
Laureato in Scienze Geologiche e con un PhD in Geofisica conseguito presso l’Università di Southampton (Regno Unito), ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità all’interno dell’INGV, dove attualmente è Dirigente di Ricerca.
“Il mio impegno sarà quello di rafforzare l’INGV con azioni concrete che ne consolidino il ruolo di eccellenza scientifica a livello globale”, dichiara Florindo. “Tra le mie priorità vi è senza dubbio il potenziamento delle reti di monitoraggio, con l’adozione di tecnologie all’avanguardia per una risposta sempre più tempestiva ai rischi naturali”.
Attraverso progetti interdisciplinari e collaborazioni internazionali strategiche, l’INGV mira ad affrontare le sfide globali legate ai cambiamenti climatici e ai processi tettonici e vulcanici.
“Grazie a queste e molte altre iniziative”, prosegue Florindo, “l’INGV continuerà a essere un punto di riferimento nella ricerca sulle Scienze della Terra, contribuendo in modo significativo alla sicurezza e alla comprensione del nostro pianeta”.
Associato di ricerca all’ISMAR-CNR e al Centro Oceanográfico de Registro Estratigráfico dell’Università di San Paolo, Brasile, dal 2022 Florindo ha fatto parte del Consiglio di Amministrazione dell’INGV e ha ricoperto l’incarico di Presidente ad interim, dimostrando capacità gestionali, competenza e visione.
Florindo è un geofisico molto conosciuto nel panorama internazionale con una rilevante carriera scientifica nel settore della geofisica. È Principal Investigator di numerosi progetti di ricerca internazionali di grande rilevanza, tra cui il progetto ANDRILL, che ha coinvolto istituzioni di Italia, Germania, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti. La sua elevata produzione scientifica include lavori su riviste di primissimo piano ed è riconosciuto per l’impatto significativo che ha avuto sulla ricerca globale.
A livello internazionale, Florindo è stato insignito di numerosi premi e riconoscimenti.L’American Geophysical Union (AGU) lo ha premiato per il suo contributo alla comunità scientifica e lo ha eletto Fellow dell’AGU. È membro dell’Academia Europea e ha ricevuto il titolo di Doctor of Science dall’Università di Southampton per il suo contributo significativo alla ricerca geofisica. Inoltre, il suo contributo al programma di ricerca scientifica in Antartide è stato riconosciuto con la National Science Foundation Antarctic Service Medal, un’importante onorificenza del programma americano per il servizio reso nella regione.
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